martedì 31 ottobre 2017

Lo Schiavo del Tempo - Un genio si racconta

Come ormai saprete, ho un rapporto alla odi et amo con la scrittrice americana Anne Rice a causa delle sue bizzarie (che o piacciono alla follia o si detestano) e della sua tendenza a rimettere mano a serie che non dovrebbe più toccare (*hem heem*), ma alcuni dei suoi romanzi sono stati per me molto importanti e mi hanno fatta avvicinare alla lettura con un approccio diverso. Non la ritengo la mia scrittrice preferita (non ne ho ancora trovato uno, di autore preferito!), ma posso dire che ha scritto alcuni dei miei romanzi preferiti e, in fondo, ci sono anche affezionata. Motivo per cui continuo a recuperare suoi romanzi, soprattutto quelli più datati, nella speranza di trovarci quella magia e quell'ispirazione che le sono proprie quando è in stato di grazia. Questa volta, mi sono trovata davanti a un "ni".

Lo Schiavo del Tempo (in originale Servant of the Bones) è un romanzo singolo del '96 in cui troviamo temi a lei cari come il precetto che accompagna sempre le sue creature, anche quelle più dannate, ovvero "imparare, amare, essere caritatevoli".


Jonathan, uno studioso ebreo esperto di storia babilonese decide di trascorrere un po' di tempo nel suo rifugio in montagna, stanco delle pessime notizie che vede e legge quotidianamente sui giornali, tra cui anche l'omicidio di una sua ex studentessa, Esther Belkin.
L'uomo però viene colto da una febbre altissima e, trovandosi solo nel bel mezzo di una bufera, rischia la pelle. A salvarlo interviene Azriel, un uomo di bell'aspetto e dai poteri incredibili che gli chiede di ascoltare la sua storia. Egli è il Servitore delle Ossa, spirito angelico e demoniaco insieme che ha vagato per millenni, senza ricordi e colmo d'odio, al servizio di padroni diversi. Adesso però ha recuperato la memoria e vuole raccontarsi, nella speranza di lasciare un messaggio al suo popolo che, in fin dei conti, è l'umanità intera.

Azriel da giovane nella trasposizione a fumetti del romanzo.
Illustrazioni di Renae DeLiz e Ray Dillon.
Da noi questa versione è inedita.
Azriel inizia dunque il suo racconto rivelando di essere stato umano: era figlio di ebrei deportati a Babilonia ai tempi di Ciro il Grande. Conduceva una vita felice con la sua famiglia ebrea, a metà tra la sua cultura natia e quella della città in cui  era nato. Azriel, nonostante la sua fede, inizia a sviluppare il potere di parlare al dio babilonese Marduk, il dio d'oro sorridente. Marduk però è un dio ormai debole e, forse, non è mai stato davvero un dio vero, ma una creazione umana...
In un momento di crisi, Azriel accetterà di sacrificarsi per garantire la salvezza di entrambi i popoli, ebrei e babilonesi, ma dei sacerdoti avidi di potere deturperanno il suo nobile gesto per renderlo un demone al loro servizio: il Servitore delle Ossa. Da questo momento in poi, lo spirito di Azriel sarà legato alle sue ossa, alla mercè dei desideri e delle brame dei maghi che possiedono lo scrigno in cui è conservato il suo scheletro d'oro. Il rituale però non fu portato a termine nel modo giusto, e quindi Azriel mantiene ancora la sua volontà.
Lo spirito perderà anche i suoi ricordi, dimenticandosi persino di essere stato umano e di chi lo abbia ridotto in questo stato, vagando nell'odio o dormendo nelle ossa in attesa della prossima chiamata, fin quando lo scrigno non arriverà ai giorni nostri, tra le mani di Gregory Belkin, uomo megalomane, di famiglia ebrea e fondatore di una setta pseudo-religiosa con milioni di adepti in tutto il mondo.
Azriel riuscirà a tornare padrone di sè stesso?

"C'è un solo e unico scopo nella vita: testimoniare e comprendere per quanto possibile la complessità del mondo, la sua bellezza, i suoi misteri, i suoi interrogativi. Più si cerca di capire, più s'indaga, e più si apprezza la vita e ci si sente in pace col mondo."

Nello Schiavo del Tempo, la Rice introduce una creatura sovrannaturale poco sfruttata e, almeno che io sappia, che non ha avuto grandi occasioni di essere protagonista e voce narrante: quella del "genio". In realtà questo termine viene usato pochissimo nel romanzo, preferendone altri in base alla cultura di appartenenza dei personaggi, ma la leggenda di riferimento è quella. Azriel non è certo il simpatico genio della lampada di Aladdin però, anche perchè grazie alla sua volontà e agli insegnamenti impressi dal suo primo padrone, decide di ribellarsi ai padroni malvagi, uccidendoli non appena viene chiamato. E' proprio per questo che molti pensano che il Servitore delle Ossa sia un demone.
La particolare situazione del protagonista è narrativamente un'arma a doppio taglio: se da una parte è interessante vedere come Azriel si muove nel mondo, dall'altra, una volta che perde la memoria, è una sorta di nucleo di emozioni senza identità e questo rende la caratterizzazione un po' confusa in questa parte. Egli stesso in conclusione dice infatti che "senza memoria non c'è introspezione." Ad Azriel infatti restano come incise alcune impressioni dovute alle sue dolorose esperienze passate, ma spesso non ricordo le ragioni dei suoi pensieri e ricordi, nè ha memoria delle persone a lui care.
Per suscitare ulteriore pietà nel lettore forse sarebbe stato meglio evitare questo tipo di cornice narrativa, già proposta dall'autrice con maggior efficacia in Intervista col Vampiro. Il racconto della storia a posteriori infatti ci risparmia di soffrire effettivamente per le perdite di memoria di Azriel, perchè sappiamo che ha recuperato la memoria alla fine, essendo lui stesso a raccontare.
Oltretutto, la cornice è ulteriormente indebolita dal personaggio di Jonathan che praticamente sparisce per buona parte del romanzo e non lascia una grande impressione di sè o una qualche simpatia, come invece poteva succedere con il ragazzo dell'intervista del suo romanzo più famoso. Jonathan rappresenta un uomo normale, anche se molto più colto della media forse, nauseato dalla tristezza e dalla violenza del mondo che lo circonda. Comunque, le parole conclusive mi sono piaciute tantissimo  e risollevano un finale piuttosto deludente.

"Quando scriverai la mia storia, non esitare a chiamarmi Servitore delle Ossa, perchè lo sono tuttora, anche se non sono più il servitore delle ossa di un ragazzo, condannato a Babilonia a servire qualche stregone malvagio [...] o re con sogni di gloria.
Sono il Servitore delle Ossa che giacciono nel grande campo descritto da Ezechiele, le ossa dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, che sono l'umanità."

Dal capitolo venti (su 25) in poi, infatti, la trama subisce una deviazione piuttosto brusca e si fa troppo concreta, quasi da action movie. L'idea del Tempio della Mente di per sè era allettante e creava una connessione con le sette del passato che Azriel aveva avuto modo di incontrare; passa il tempo, ma certe cose non cambiano: se la magia religiosa era la scienza del passato, ora la scienza è un religione.
I fatti conclusivi però sono raccontati in modo piuttosto concitato, come se all'autrice stessa importassero poco, e il personaggio di Gregory, un riflesso dei re folli e megalomani del passato, si fa sempre più patetico (volutamente). Secondo me la Rice a volte compie l'errore di creare personaggi con storie individuali splendide e appassionanti, ma di inserirli in trame poco interessanti e alla buona, giusto per creare uno spunto che possa dare una qualche conclusione alla vicenda. Non fa sempre così, per fortuna, ma questo è uno dei casi. [SPOILER] Inoltre, la questione dei gemelli l'ha utilizzata anche in un suo romanzo più recente, Angel, in cui ritorna la cultura ebraica. Che i gemelli abbiano un qualche significato particolare per gli ebrei? [FINE SPOILER]I poteri e i limiti di Azriel diventano più arbitrati e non si capisce fino in fondo come si sia materializzato e da chi sia stato chiamato. Perchè questa volta è riuscito a chiamarsi da solo? Oppure è stato davvero il mondo a chiamarlo? O Esther? Insomma, questa parte della storia non mi ha convinta affatto, dandomi la sensazione di essermi persa qualcosa. Anche lo stile, in questa parte, si fa molto più veloce, in contrasto con una prima parte non lenta ma più descrittiva.
Tutta la parte precedente al 20 è molto più mistica e ruota attorno alla formazione di Azriel come spirito. Questa parte, che per fortuna è la più lunga, mi è piaciuta molto: la condizione di Azriel in realtà non è altro che una metafora dell'umanità che vaga nel tempo, cercando di ricordare la propria storia, di capire come vivere e secondo quali principi, compiendo sia il male che il bene, nella speranza di poter salire sulla Scala Celeste e ricongiungersi con la propria divinità (qualunque essa sia) e i propri morti.

"Forse un giorno, le ossa dell'uomo produrranno il DNA di Dio."

I personaggi in realtà non sono tantissimi. Quelli più interessanti per me sono stati Marduk l'uomo-dio, e Zurvan, il primo padrone di Azriel, colui che gli inculcherà, per quanto possibile, l'insegnamento di "imparare, amare, essere caritatevoli" affinchè Azriel riesca a superare l'odio. E' un messaggio molto caro all'autrice e, sebbene la ripetizione rischi di farlo diventare scontato, è sempre un punto fermo lodevole e positivo, quindi ben venga. Se la si legge per la prima volta sicuramente risulterà più incisivo rispetto a chi ormai la conosce bene.
Ai fini della narrazione e della crescita del personaggio, sono importanti anche Rachel ed Esther Belkin, ma la seconda ha giusto il tempo di morire, mentre la prima poteva essere un personaggio molto più incisivo e interessante se solo avesse avuto più tempo sulla scena. [SPOILER] La storia con lei era telefonatissima, nel senso che ho capito subito che sarebbero finiti insieme da quando si sono guardati, ma se non fosse stato per la questione del "sentirsi vivi" avrei trovato la loro scena di sesso un po' di cattivo gusto, visto lo stato di lei e quello che le era appena successo. [FINE SPOILER].

Per concludere: Se non fosse stato per lo scivolone dei capitoli finali, il mio livello di gradimento sarebbe stato intorno all'8! Non è uno dei primi romanzi della Rice che consiglierei, ma neanche l'ultimo. Penso possa essere una lettura interessante anche per la scelta di una voce narrante così particolare e ci sono dei momenti abbastanza d'impatto, come il sacrificio di Azriel. E' anche un romanzo con qualche spunto di riflessione legato alla propria spiritualità, alla condizione umana e alla religiosità intesa in senso generale (anche se le culture di riferimento sono quella ebraica in primis e poi quella babilonese). I riferimenti al divino e alla religione sono molti, quindi se questo elemento e questi temi vi annoiano, è scontato che non sia proprio il titolo più adatto, anche perchè rispetto ad altri suoi romanzi, la componente storica, pur presente, è meno accentuata, suppongo anche per la mancanza di fonti più dettagliate.

L'edizione che possiedo
Il romanzo è edito in Italia dalla Tea, traduzione di Luisa Corbetta. L'edizione in mio possesso ha una cover terrificante che sembra fatta con paint e il font interno mi ha dato un po' fastidio all'inizio (non è il classico Times New Roman, ma è più stretto e allungato). Il prezzo però è abbordabile (8,60) e credo che si trovi anche a meno all'usato, quindi se siete fans dell'autrice tutto sommato ve lo consiglierei, merita un'occasione. Se non dovesse piacervi, almeno non ci avrete investito troppo. Nel caso voleste leggere qualcosa di suo per la prima volta, magari diverso dai suoi titoli più noti, potrebbe essere una buona idea visto che i temi principali sono quelli ed è un buon modo per avere chiaro quali possono essere i pregi e i difetti della scrittrice. Anche l'ambientazione babilonese, suppongo piuttosto rara, potrebbe essere un buon incentivo per recuperarlo, ma badate bene che riguarda solo la primissima parte della storia.

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